Ieri ho visitato “Tesori dei Faraoni“, mostra evento – in questo caso si può dire faraonica – che è stata inaugurata lo scorso venerdì 24 ottobre e che proseguirà fino al 3 maggio 2026 presso la prestigiosa sede delle Scuderie del Quirinale a Roma. “Tesori dei Faraoni” è infatti la più grande esposizione di antichità egiziane mai realizzata in Italia, perfino maggiore dell’illustre precedente di Palazzo Grassi a Venezia. Se infatti nel 2002-2003 erano stati 80 i reperti esposti, questa volta l’Egitto ha prestato ben 130 oggetti, molti dei quali mai usciti dal Paese e alcuni completamente inediti.
La mostra, a cura dell’egittologo Tarek el-Awady, direttore del Museo Egizio del Cairo nel 2011-2012, nasce da un accordo diplomatico culturale tra Italia ed Egitto, promosso dall’Ambasciata italiana al Cairo in stretta collaborazione con il Supreme Council of Antiquities e con la partecipazione dei ministeri italiani degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e della Cultura e del Ministero egiziano del Turismo e delle Antichità.

La gran parte dei pezzi – 108 per la precisione – viene dal museo di Piazza Tahrir che, in questi anni, sta vivendo una profonda fase di mutamento per via della parallela apertura del Grand Egyptian Museum – che ha assorbito molti dei suoi “tesori”, primo tra tutti il corredo funerario di Tutankhamon – e del conseguente riallestimento degli spazi. Altre antichità sono state prestate dal Museo di Luxor e tra queste spiccano perfino recenti ritrovamenti effettuati nella cosiddetta “Città d’Oro”, il centro amministrativo di Amenofi III scoperto a due passi dai Colossi di Memnone da Zahi Hawass nel 2021.
Il noto archeologo egiziano ha anche curato il catalogo della mostra e ha prestato la sua voce per l’audioguida in inglese. La versione italiana è stata invece affidata a Roberto Giacobbo. Partecipazione importante è anche quella del Museo Egizio di Torino, che ha curato i laboratori didattici e concesso la Mensa Isiaca, tavoletta in bronzo di epoca romana con figure e segni ispirati all’iconografia e ai geroglifici egizi. Un oggetto – fra l’altro la prima acquisizione della collezione torinese – che riassume alla perfezione il collegamento tra Egitto e Roma.

Il percorso espositivo di “Tesori dei Faraoni” si snoda in 10 sale, divise tra sei sezioni e due piani: Egitto, terra dell’oro, dedicata al prezioso materiale attraverso oggetti reali; La vita dopo la morte, con parte del corredo funerario di Yuya e Tuia, del tesoro di Tanis e della cachette di Bab el-Gasus; Un re e il suo popolo, con statue e altri oggetti legati a funzionari, sacerdoti e scribi; La vita quotidiana, che include testimonianze di attività comuni, tra cui spiccano ritrovamenti dalla “Città d’oro”; La religione nell’antico Egitto, con esempi di divinità e culti della Valle del Nilo; Il concetto di regalità chiude con statue e maschere funerarie di faraoni e la Mensa Isiaca.
È certamente difficile scegliere qualche esempio tra gli oggetti esposti perché sono tutti pezzi da manuale di storia dell’arte egizia. D’altronde, appare evidente fin dal titolo che si sia puntato soprattutto – se non quasi esclusivamente – sull’eccezionalità dei prestiti dai musei egiziani, molti dei quali legati a famosi faraoni o celebri scoperte. Questo è il punto di forza della mostra che può puntare su veri “tesori”, termine sicuramente inflazionato quando si parla d’Egitto antico, ma mai così adatto come in questa occasione.

Si aggiungono positivamente un concept degli spazi dall’estetica apprezzabile e diversi pannelli con la spiegazione dei termini egittologici più comuni (es. ushabti, canopo, statua cubo ecc.). Tuttavia, gli oggetti restano per lo più “muti”. Al di là della preziosità dei materiali e della raffinatezza delle esecuzioni artigianali, il visitatore non ha modo di assimilare molto altro. L’apparato didascalico risulta ridotto all’osso e non ci sono approfondimenti né story telling come ci si aspetterebbe da una moderna esposizione. Anche l’accostamento degli oggetti – spesso di diverse epoche – e la disposizione delle sezioni non sono di comprensione immediata.
Qui arriva il consiglio che ritengo fondamentale per apprezzare al meglio “Tesori dei Faraoni”. Per andare oltre l’estetica dei pezzi, occorre servirsi dell’audioguida che è scaricabile sul sito della mostra. Nonostante il mio giudizio tutt’altro che positivo dell’attività divulgativa di Giacobbo e tralasciando qualche errore e la mancata copertura di tutti gli oggetti esposti (si rimanda al catalogo per il resto), la voce narrante accompagna il visitatore per poco meno di un’ora, fornendo i dati che mancano nelle didascalie e qualche altra spiegazione più generale.
“Tesori dei Faraoni”: sì o no?
In conclusione, secondo me la mostra va visitata solo perché fornisce la possibilità unica di godere di capolavori che difficilmente usciranno di nuovo dall’Egitto e di alcuni reperti mai esposti prima (e poi c’è Ahhotep!). Sperando che tutto quell’oro possa far venire voglia di approfondire di più la civiltà egizia.
https://scuderiequirinale.it/exhibition/tesori-dei-faraoni/





